sabato 7 giugno 2008

LETTERA APERTA ALLA FRANZONI di Maria Grazia Torri


Letto sul sito della Dott.ssa Agnese Pozzi

DOMENICA, 25 MAGGIO 2008
MORIRE DI CENSURA
Pubblico la lettera di Maria Grazia Torri,
autrice del libro COGNE L'ENIGMA SVELATO, per sua volontà:
LETTERA APERTA ALLA FRANZONI di Maria Grazia Torri
Ospedale 22.05.2008
Cara Anna Maria Franzoni,
ti scrivo nel primo giorno della tua carcerazione e nel mio ennesimo di ospedale, nel luogo dove sono stata operata recentemente, per un’ulteriore complicanza della mia malattia, che devo proprio al mio eccesso di impegno a favore della verità e della giustizia sul tuo caso, partecipazione non solo vissuta a livello libresco, ma come impegno, in prima persona, la stessa cosa che qualcun altro, a me molto affine, fece nel Caso Dreyfus, forse in un tempo di crisi culturale e sociale non diverso da questo, anch’egli correndo rischi gravi e senza mai tirarsi indietro.
Il saperti ora in carcere mi addolora ancor di più e mi apre una ferita nel costato più larga di quella che mi hanno fatto le chirurgie e il male. E’ come se mi avessero infilato una lancia. La lancia dell’omertà, del silenzio, del pressappochismo, dei poteri più che mai corrotti della società e della cultura italiana, della congiura mediatica, dei CRIMINI TELEVISIVI di cui non parla nessuno, la lancia dell’ ipocrisia, della follia negativa per la quale tanti giovani muoiono inutilmente, e infine, la lancia di una giustizia carrarmato, che avendo in dotazione strumenti scientifici e sofisticati, crede di poter fare completamente a meno dei valori umani, della riflessione, del buon senso e dell’acume del cervello umano, che stanno, da sempre, alla base delle vere inchieste.
Ho scritto senza conoscerti un libro su di te che mi ha impegnato 2 anni, che non mi ha finanziato nessun istituto universitario o televisivo, che mi ha svuotato le tasche e fatto perdere il lavoro prima, e la salute, poi. L’ho scritto in compagnia di specialisti, di neurochirurghi, di medici autoptici, e di una dottoressa molto speciale ( Agnese Pozzi) perché se tuo figlio è morto di una qualche morte cerebrale era giusto interpellare loro in prima battuta non altri. Gli psichiatri e gli esperti di gossip potevano attendere.
Il libro, che conteneva intuizioni, considerazioni e prove mediche che avrebbero fatto gola a qualsiasi tuo avvocato difensivo di talento, è stato accolto con la banalità e la noncuranza con cui i media e la televisione abitualmente frullano le loro migliaia di notizie buone e cattive e poi ne prelevano qualcuna dal cappello magico al solo scopo di aumentare l’audience e di stimolare pericolosi pruriti.
Cosa ho fatto dopo? Ti elenco solo le principali cose che ho fatto per dare rilevanza non tanto al mio libro ma alla profonda ingiustizia che mi rendevo conto veniva perpetrata a tuo danno solo per esigenze mediatiche e di facciata.
1) Ho parlato con Carlo Lucarelli e gli ho chiesto di dare spazio nella sua trasmissione alla mia ipotesi, sostenuta, come dimostro, da insigni specialisti, ipotesi di morte naturale accidentale per il piccolo Samuele, un’ipotesi unica in tutto il panorama dei libri scritti su Cogne. Lucarelli ha letto la prima bozza del mio libro, l’ha definito molto molto interessante, ma, al dunque, senza darmi una spiegazione logica plausibile si è tirato indietro. Solo più tardi sono stata costretta a vedere, o meglio, a scoprire, per caso, entrando in una libreria, che i suoi ultimi libri sono firmati anche da Picozzi, il primo illustre incaricato di ‘indagare sulla mente della Franzoni’, che, senza fare assolutamente nulla di originale, si è limitato a pontificare sulla scorta della più vieta psichiatria in fatto di matricidi ( smentito ora dall’ottimo e documentato Mastronardi) e ad infangarla tout court.
2) Ho parlato con Tiziano Scarpa, che credevo un amico, perché avrei preferito pubblicare il libro con Einaudi anziché con Giraldi, non perché non stimi Cristiano Giraldi, ma semplicemente per avere una maggiore diffusione e una CONTRO INFORMAZIONE capillare come il caso meritava, dopo cinque anni di bombardamento mediatico incommensurabile (ahimè, con Giraldi devo dire, molto onestamente, che il libro, se non si ordina, non si trova da nessuna parte e ciò ha invalidato di molto il mio enorme sacrificio. ) Tiziano Scarpa, invece, fingendo di essermi amico, per quanto avesse già una volta scambiato la mia rasatura da chemio per un taglio alla moda, ha fatto lo stesso anche col Caso Cogne. Ha finto di dare il mio libro all’Einaudi per poi stroncarlo lui stesso con una sua trivialissima scheda di lettura, dove mi criticava demolendo ‘solo le teorie mediche’. Scarpa, che fa lo scrittore o il poeta, non sapendo nulla né di aneurismi cerebrali infantili, né di vomito a getto, né di crisi epilettiche postraumatiche avvenute a seguito di una frattura all’occipite non esposta ( ‘rilevata’ nel mio libro solo dalla bravissima dott Pozzi da lui ignorata), si è messo a dire che i neurochirurghi portatori di una simile ipotesi erano dei ‘giullari fantasiosi’. Già, lui, dall’alto del suo podio di neurochirurgo improvvisato poteva dirlo!
3) Ho cercato di parlare con Feltri, che per primo aveva profetizzato : ‘La Franzoni sarà condannata perché è antipatica, non ci sono prove certe e non c’è nessun altro motivo valido per incarcerarla.’ Ma anche Feltri, per quanto avesse promesso di parlarmi non mi ha mai ricevuto. Mi sono detta: lo farà perché io per lui sono la signora nessuno. No, non solo: egli predica bene ma razzola malissimo, visto che proprio le sue giornaliste preferite hanno pubblicato tutte le intercettazioni più assurde e il gossip più velenoso e mefitico sulla povera Franzoni rendendola appunto colpevole perché odiosa!
4) Sono andata da Belpietro e gli ho portato il libro in redazione prima che passasse a Panorama. Anche lui, per quanto fosse l’unico a credere nell’innocenza della Franzoni, non ha letto il libro e non mi ha dato la benché minima risposta.
5) Sono andata da Maurizio Zuffi, che è quello che, come rettifica così bene Mario Giordano sulla Stampa del 22/5, è stato il primo, a Studio Aperto, a fare un servizio sulla Franzoni. Mi ha promesso che, per l’uscita del libro avrebbe fatto fuoco e fiamme , ma poi ha detto che non gli piaceva più come si comportava la Franzoni da un punto di vista televisivo, insomma che era troppo cambiata e siccome era diventata antipatica anche a lui, alla fine mi ha detto di no.
6) Sono andata da quel gran bevitore di Andrea Pinketts. Riescono a farcelo vedere sobrio solo su L’Italia sul Due, alle due del pomeriggio, perché è sempre ubriaco e puzza di birra dalle 15 alle 9 di mattina. In tale stato, ‘normalmente’, presso le varie case editrici, a Milano, presenta i libri degli scrittori esordienti senza averli neanche mai aperti con buongrado e tolleranza di tutto lo staff editoriale italiano. Lo stimo anche io ormai solo un ubriacone che ha divertito i fessi negli anni ottanta con l’idiozia arguta dei suoi ‘noir à bestia’, ma cosa vuoi, Anna Maria, ero disperata, e io, facendo la scrittrice, conosco solo scrittori. Pinketts, probabilmente, commosso solo dalla mia magrezza ( è strambo nelle decisioni e fu fidanzato con una anoressica) mi disse di sì e mi fece addirittura ordinare i libri e fissare la serata della presentazione in un caffè letterario di via Solferino. Poi,a cose fatte e a libri spediti per la serata dall’editore, mi bidonò. Motivo? Dopo quattro anni di indagini non poteva uscire un’ipotesi del genere! Il libro, ovviamente, non l’aveva manco letto, anzi me ne aveva perse e richieste ben tre copie! Se questo è un intellettuale che va in TV tutti i giorni.....
7) Scrissi allora indignata sul mio Blog ( www.enigmasvelato.splinder.com)un’apologia di Zolà sul caso Dreyfus come contraltare al disimpegno corrente dei miei conoscenti e amici intellettuali. M rispose indignato un tal Antonio Scurati, dicendomi di mandargli il libro al volo che lui non era né un disimpegnato né un pesce lesso. Difatti, dopo averlo letto non ne fece parola: ANCHE CON LUI CI FU UN SILENZIO TOTALE.
Scurati è un’eminenza grigia che colleziona premi letterari per sé e per altri ed è entrato nel Gotha dell’isola dei famosi della scrittura italiana proprio per questioni di mantenimento di fama scrittoria ad oltranza come del resto fa il bevitore Pinketts con la TV.
8) Dopo un articolo sulla Gazzetta dello Sport uscito in concomitanza alla sentenza d’appello dell’aprile 2007 , Sandro Veronesi scrisse cose molto affini a quelle pubblicate sul mio libro e così lo interpellai, anche perché, molto prima dell’uscita del film ‘Caos Calmo’ avevo citato in Cogne: un Enigma Svelato, una pagina del suo romanzo che conteneva una definizione sulla ‘gestione personale’ del dolore di ciascuno, che molto si attagliava alla Franzoni. Volete sapere cosa mi ha risposto Veronesi? Che aveva qualcuno ammalato in famiglia e che non poteva venire a presentarmi il libro a Milano. Magari, più avanti a Roma? Neppure.
9) Di Vespa, di Costanzo, del business televisivo ulteriore me ne sono fregata, era deleterio. Della TV solo in La Sette ho cercato inutilmente di coinvolgere la persona con cui ho collaborato come redattrice del femminile Donna, quando lei era direttrice,la fantomatica Daria Bignardi. Ma per lei ‘non era abbastanza chic’ occuparsi di Cogne.
10) Allora ho parlato con Paola Savio, ultima avvocatessa tua e con lei ho avuto uno scambio di email a proposito di una scrittrice e docente universitaria americana del Connecticut, Ellen Nerenberg, che criticava il comportamento pesantissimo dei media e quello da ‘processo alle streghe’ della giustizia italiana soprattutto nel Caso Cogne, ormai di mondiale dominio. Le ho mandato anche il libro, che lei puntualmente non ha letto. Mi ha risposto che non aveva tempo e che lo avrebbe fatto leggere al medico della difesa Torre, grand’uomo anche lui, meraviglioso e inutile esperto. (Uno poi che si fa coinvolgere nel caso di Rosa e Olindo per difenderli, io, proprio non lo vorrei incontrare nemmeno per sbaglio!)
Quante altre ne ho fatte Anna Maria, quante ne ho dette, a quanti amici e colleghi mi sono rivolta, a quanti ho mandato il libro non lo ricordo nemmeno.
Una caterva di gente sproporzionata alle mie poche energie e poche forze.
Solo ‘La Voce di Romagna’ mi ha dato spazio, di recente, nella mia rubrica CRIMINI & TV. Lì ho potuto sostenere la tua provabilissima innocenza.
Ho saputo in questi giorni , che tu, fino all’ultimo, hai sperato che Dio illuminasse i tuoi giudici e i tuoi accusatori più accaniti.
Ma Dio l’aveva fatto Anna Maria, Dio aveva illuminato me e alcuni medici ancora onesti e integri, almeno nell’esercizio della loro professione...Tu, però, non te ne sei accorta. Sono stata l’unica a pubblicare la perizia molto abborracciata e prevenuta dell’illustre anatomopatologo di Cogne, il prof Viglino e le controperizie a quella, di gente più brava di lui, ma tu non ci hai fatto caso. Di tutti i libri pubblicati su Cogne lo so che il mio ‘Cogne: Un Enigma Svelato’ era solo uno dei tanti, però era MOLTO ILLUMINANTE, dal momento che sottoponevo al giudizio della comunità medica e scientifica italiana un’ipotesi diversa da tutte: quella di una morte naturale dimostrabile. Del resto, per i primi due giorni dopo il fattaccio, una brava dottoressa, la tua, ti aveva convinto della stessa cosa e tu le avevi creduto. Aveva ragione lei, la Satragni e torto tutti i paludatoni e i grilli parlanti venuti dopo. Sono perfettamente consapevole Anna Maria della luce che portava il mio libro e di quanto sarebbe stata illuminante una vera inchiesta medica fatta a partire dalle sue premesse, inchiesta purtroppo caldeggiata solo da un’altra DONNA DI LUCE, Maria Rita Parsi, che questo propose INUTILMENTE dopo aver letto e recensito il mio libro, sulle pagine del Resto del Carlino.
Non ci posso e non ci ho potuto fare nulla se i tuoi avvocati si sono incartati in una falsa indagine, che la spocchia dei televisivi aveva inscenato per loro, o se la tracotanza degli inquirenti che l’hanno portata avanti, e se la pompa magna di una giustizia decadente e marcescente ha prevalso sulla nuda e umile idea di un’inchiesta medico-scientifica sul caso ‘morte di Samuele’ e non sulla tua mente sana.
Galileo fu processato, condannato e costretto ad abiurare solo perché diceva la verità.
Non è un caso isolato nella storia.
Anche a te è successo. E adesso sei lì, dove in fondo chiedeva di essere la tua coerenza ineccepibile con quelle parole: “ Meglio sana in carcere che pazza fuori” . Sei sana, sei innocente e sei in carcere, mentre io che sono andata a bussare per te a tutte le porte possibili e immaginabili mi sono ammalata di una malattia impronunciabile e crudele, sto chiusa dentro un ospedale e ho un futuro impossibile. A meno che la Grazia di Dio non mi restituisca ciò che ti ho dato , a meno che la sua Bontà non mi illumini, non metta luce nelle mie ferite come io l’ho messa nelle tue. Come io ho illuminato te portando amorevolmente la tua croce per un sacco di tempo, tu illumina me ora con le tue preghiere e rendimi almeno il senso dell’immenso sacrificio fatto.
E che L’Italia Intera, politici, pm, giudici, psichiatri, intellettualoidi, giornalisti e ballerine, che l’Italia imbastardita e involgarita e ‘colpita al cuore’ come diceva una volta De Gregori, l’Italia mai caduta così in basso come ora ( immondizia et Napoli docet), comprenda ciò che abbiamo fatto l’una per l’altra senza nemmeno conoscerci, solo per amore della giustizia e della verità, in cui crediamo e crederemo sempre.
Ciao, Anna Maria, io mi chiamo Maria Grazia, come vedi anche una parte del nostro nome è comune.

Maria Grazia Torri
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scritto a canale 5, italia 1, rete 4, rai 3 redazione generale e a "chi l'ha visto", il corriere e tutti gli indirizzi sopra.

http://agnesepozzi.splinder.com/

5 commenti:

Crystal ha detto...

Non abbraccio nessuna tesi: spero con tutto il cuore che la Franzoni sia innocente.
Questo articolo fa pensare allo stato della giustizia in Italia

ambra ha detto...

Non so, non mi pare possibile che queste parole e il libro non siano capitate in mano ad un competente in materia.
Pubblicità ne è stata fatta a sfficienza se tanti hanno avuto in mado questi scritti e non è credibile che il rifiuto mostrato sia solo fatto di malizioso interesse di bottega.
Non so.

Crystal ha detto...

Ho dato importanza a questa cosa solo perchè l'ho visto sul blog della Dottoressa che ha stilato il suo parere su Contrada e l'ha mandato autonomamente all'Avv. Lipera.

agnesepozzi ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
agnesepozzi ha detto...

IN OMAGGIO ALLA MEMORIA DI
MARIA GRAZIA TORRI
scomparsa il 4 luglio 2008 alle ore 14,45 e per difenderla da quelli che si sono reputati suoi amici...eccone uno fra tanti (come del resto il prete mancato Renato Farina, di Libero...)

QUESTO E' IL FILE ORIGINALE
LA SCHEDA CRITICA di TIZIANO SCARPA per il libro..
on i miei commenti in rosso scuro/grassetto... che magari qui non si vedranno..ma si capiscono benissimo che sono miei..inviatomi da Maria Grazia Torri. Per vedere il file a colori andate su
http://agnesepozzi.splinder.com/

Cogne. Storia di un delitto inventato
Pagg. 182 + LXV

Un giorno di aprile del 2006, a Milano, la studiosa e critica d’arte contemporanea, curatrice di mostre e giornalista Maria Grazia Torri batte la testa sul vetro pressoché invisibile della porta di una galleria d’arte. Decide di farsi visitare al pronto soccorso. Conosce così il neurochirurgo Giovanni Migliaccio, che appena viene a sapere che Torri è una giornalista, le sottopone un punto di vista alternativo sulla morte di Samuele Lorenzi, la vittima del celeberrimo cosiddetto “delitto di Cogne”.



Secondo il neurochirurgo, non si tratterebbe affatto di un delitto: il piccolo Samuele avrebbe in realtà subìto un attacco epilettico, fratturandosi il cranio, in seguito alle violentissime convulsioni, su uno degli spigoli della mobilia della camera (il comodino, la testiera del letto). Avrebbe perso sangue dalla ferita imbrattandosi il volto e la bocca. Il conseguente “vomito a getto” che può subentrare in casi simili avrebbe fatto sì che il sangue fosse sparso e schizzato lontano nella camera, fino al soffitto.



Questa, in sintesi estremamente succinta, la tesi proposta dal libro....davvero ESTREMANETE succinta, tanto da farmi pensare che Scarpa non l'abbia affatto letto TUTTO (cosa che un AMICO "critico" , anche improvvisato, DOVREBBE fare...; infatti manca completamente la citazione dei miei rilievi sulle FRATTURE, che sono la NOVITA' VERA intervenuta dopo il discusso e accantonato aneurisma) Il quale è costituito da materiali eterogenei:



a) Una introduzione-inchiesta narrativa, in cui Maria Grazia Torri racconta come sia finita a occuparsi di questa storia per caso (il piccolo trauma cranico contro la porta a vetri della galleria), come l’abbia trovata più che plausibile e si sia appassionata al punto da farne una specie di accorata crociata, nonostante le mille difficoltà personali e professionali in cui si trova in questo periodo; i suoi tentativi vani di diffonderla attraverso i giornali e, poi, tramite l’editoria.

b) La trascrizione delle conversazioni, dal vivo e al telefono, con il Dr. Migliaccio.


c) Una telefonata (NO. Mi ha contattata Maria Grazia con la prima mail che ho su riportato!!!) di un altro medico, Agnese Pozzi, che giudica verosimile la proposta di Migliaccio (..ma se ne discosta facendo altri rilievi sulla dinamica fratturativa).

d) La perizia autoptica ufficiale del professor Viglino.

e) L’ordinanza di applicazione della custodia cautelare per Annamaria Franzoni stilata dal Giudice per le indagini preliminari Gandini, con i relativi commenti fatti dalla Dr.ssa Pozzi e dalla stessa autrice

f) Altri documenti, fra cui alcuni articoli di giornale e la lunga appendice che riporta le discussioni in un forum in rete fra, perlopiù, medici professionisti, che rispondono alle considerazioni del Dr.Migliaccio (che non è affatto Professore!) e della Dr.ssa Pozzi.



Una premessa: da parecchi anni non possiedo il televisore, perciò non ho seguito la grande copertura televisiva sul caso Cogne (di cui si fa menzione più volte in questo libro: d’altronde lo stesso Dr. Migliaccio ammette con grande onestà che la sua ipotesi alternativa non gli sarebbe venuta alla mente se non si fosse sentito stimolato a contestare la ricostruzione ufficiale del caso proprio mentre assisteva a una delle tante puntate dei programmi tivù che si sono occupati dei fatti di Cogne): quindi, se da un lato possono sfuggirmi parecchi elementi utili (che so, la ricostruzione tridimensionale dell’ambiente, la disposizione degli elementi nella camera dove è morto Samuele e altre “sceneggiature illustrative” che si fanno in occasioni simili in tivù), dall’altro posso dire di essere in un certo senso immune dall’elemento di pathos che è stato introdotto nella gestione mediatica di questa vicenda, non avendo visto le interviste a Annamaria Franzoni, ecc., e le eventuali ricadute “lombrosiane” che queste cose inevitabilmente comportano, sia su innocentisti che colpevolisti. Insomma, prima di leggere questo libro avevo un’informazione medio-scarsa sui fatti, fondata sulla lettura di qualche articolo di giornale.



Perché preciso questo?



Perché, per quanto non probante, può essere in qualche maniera “sperimentalmente interessante” l’effetto che ha provocato in me questa lettura. Lo dico in soldoni: uno che su Cogne sa poco e non ha visto né Annamaria Franzoni in televisione, né le ricostruzioni degli investigatori in studio, né i commenti degli esperti o pseudo-tali, leggendo questo libro si convince che Samuele è morto per malattia o delitto?

Sottolineo che in questa mia breve (incompleta) analisi non cercherò certamente di aggiungermi ai vari Sherlock Holmes improvvisati, giustamente messi alla berlina dall’autrice: semplicemente tenterò di dare conto se e dove e come questo libro mi convince o no.



Cominciamo.



Questo è un libro smaccatamente innocentista (fin dal titolo).

Secondo me non giovano alla tesi sostenuta dall’autrice alcuni elementi della sua introduzione narrativa (ecco...cominciamo bene!).



Quali?



1. Un certo patetismo della verità (anche questo...per Tiziano Scarpa sarebbe una critica favorevole), uguale e simmetrico a una certa sicumera criminalista (i termini in corsivo sono miei, non dell’autrice) da parte degli investigatori che non hanno di fatto esaminato ipotesi alternative a quella del delitto (in ciò, con coerenza argomentativa, l’autrice accomuna sia l’accusa che la difesa, che ha sempre battuto la strada della ricerca di un altro colpevole, all’esterno della famiglia, ma non ha mai preso in considerazione la tesi di una crisi epilettica dovuta a malformazione congenita o le conseguenze di un trauma occipitale accidentale che avrebbe innescato la sequela di eventi).

(Ne approfitto per fare un altro piccolo commento: benché si tratti di cose meno importanti, quasi di vezzi narrativi, consiglierei all’autrice di eliminare alcuni passaggi in cui abbonda con descrizioni insofferenti dell’attesa al pronto soccorso, e in generale tutti quei passi in cui si dilunga in dettagli poco rilevanti (e grazie ancora per i commenti favorevoli...). Per esempio la reazione della collaboratrice del gallerista alla sua botta sul vetro; le sue vicende di critica d’arte e le sue esperienze giornalistiche: sia chiaro, non mi sfugge che in alcuni casi queste ultime servono giustamente a dare autorevolezza al suo discorso e a ricordare al lettore che non si tratta certamente dell’ultima arrivata – personalmente ne ero ben consapevole, conoscendo da lettore i contributi di Maria Grazia Torri fin dai tempi di “Frigidaire”–, ma oltre un certo limite sconfinano in una certa “petulanza” narrativa e superfluità documentaria.) e ribadisco i ringraziamenti...anche perchè Scarpa non ha avutola sensibilità necessaria per capire che l'attività artistica di Maria Grazia ha subìto un colpo terribile proprio per il suo interesse a Cogne e il parlarne in qualche maniera costituiva un compenso "emozionale".



2. Il voler agganciare questa chiusura a una teoria generale della salute e della malattia. Tutto questo è umanissimamente connesso alle vicende sanitarie dell’autrice stessa, che dichiara con grande onestà intellettuale di essersi ammalata di cancro e di avere provato nel suo corpo la sofferenza e soprattutto il monopolio terapeutico della medicina occidentale: l’onestà intellettuale sta in questo: nel prendere partito per l’interpretazione del Dr. Migliaccio, l’autrice “tifa” per il valore terapeutico della verità, che ci preserverebbe da menzogne “cancerogene”. Ebbene, a mio modesto parere, voler legare il caso Cogne a questo tema enorme e misterioso (perché ci ammaliamo?, è perché trionfano le mistificazioni?) non giova, in termini puramente argomentativi, agli scopi di dimostrazione della verità storica, fattuale dell’autrice stessa riguardo a questo specifico caso. Tra l’altro, in questo c’è una contraddizione: se accettiamo la tesi che il piccolo Samuele aveva una malformazione cerebrale che gli ha causato una fatale crisi epilettica, non possiamo certo attribuire la responsabilità del suo male a una “menzogna” sociale INFATTI...dobbiamo attribuirla ad una menzogna medica. Ma l'argomentare di Grazia, in merito, è proprio un contraltare a ciò che certa "medicina" in errori, in menzogne e in errate conclusioni, aveva catapultato su di lei. Il progetto artistico di Maria Grazia"RITRATTA" è EVIDENTEMENTE SCONOSCIUTO a cotanto "critico". ...Mi accanisco su questo punto perché trovo perdente (perdente per quanto riguarda la causa singola in questione, cioè la dimostrazione dell’innocenza di Annamaria Franzoni), benché umanamente comprensibile da parte dell’autrice, voler legare questo caso a riflessioni metafisiche sull’origine del male e della sofferenza umana (infatti il respiro universale che caratterizzava Maria Grazia, NON POTEVA essere utilizzato da analisi "asmatiche" come questa).



3. Ho apprezzato la lucidità delle “osservazioni” di Migliaccio (da lui stesso così definite perchè non ha potuto eseguire l’autopsia sulla salma di Samuele, ma si è basato su una attenta lettura critica della perizia di Viglino e sulle foto scattate dopo la morte di Samuele mostrategli dai famigliari stessi, con cui egli si è messo in contatto spontaneamente, mosso da pura fame di verità) essenzialmente per un elemento che a me è sembrato molto rilevante, e direi anzi sorprendente rispetto a quanto avevo appreso dai giornali: le famose “diciassette ferite” sulla testa di Samuele Lorenzi in realtà sarebbero “soltanto” due. Le altre 15 ci sono, sì, ma sono microferite, niente a che vedere con le due grandi e profonde aperture fratturate, con fuoriuscita di materia celebrale: verosimilmente, come spiega Migliaccio, le altre piccole ferite sono strappi del cuoio capelluto e membrane sottostanti dovute a effetti secondari delle fratture di un cranio che, rompendosi, lacera in varie parti anche la sua “fodera” dermica (mi si perdoni la terminologia non scientifica). Insomma, se delitto c’è stato, sembrerebbe ricavabile che l’assassino non ha inferto diciassette colpi, ma uno o due. Questo, secondo il mio punto di vista, non cambia le cose da un punto di vista “criminalistico” assoluto (cioè dal punto di vista di chi ritiene che Samuele Lorenzi sia stato ucciso, “colpevolista” o “innocentista” che sia riguardo a Annamaria Franzoni), perché anche di fronte a questa interessante interpretazione di Migliaccio si può comunque continuare a pensare che Samuele sia stato ucciso, non con 17 colpi (o 12-14, come sostiene il Gip Gandini, che a onore del vero non parla di “colpi” ma di “ferite inferte”, e però poi precisa che “l’azione è stata reiterata”) ma con 1 o 2 colpi. Ciò semmai cambia notevolmente le cose da un punto di vista della ricostruzione del delitto (se delitto fu) e della sua rappresentazione psicodinamica: non un accanimento ripetitivo, ma un unico (o doppio) gesto violentissimo (la mia analisi riguarda un colpo solo di partenza...quello all'OCCIPITE e il libro Scarpa non l'ha letto!). Certo, purtroppo la funesta sostanza non cambia: uno, o due, o diciassette colpi, il piccolo Samuele è morto comunque, ma lo scatto omicida che ne risulta sarebbe di tutt’altra natura rispetto a quello diffuso dai media. Questo effettivamente dà da pensare sulla tendenza giornalistica a “mostrificare” iperbolicamente le notizie persino quando gli eventi sono già orrifici.



Il resto dell’interpretazione di Migliaccio (la crisi epilettica, la ferita causata dalle convulsioni, l’impatto fortissimo con un elemento della mobilia della camera, la successiva emorraggia che allaga la bocca e fa sì che il sangue venga proiettato insieme al “vomito a getto” fino al soffitto; ma anche l’assenza di estroflessione di bulbi oculari che di solito avviene in seguito a fratture craniche di questo genere) è “suggestiva” (mi si perdoni il termine), ma a mio parere per essere profondamente convincente andrebbe rafforzata con altri elementi. Quali?



Sarebbe il caso di illustrare altri casi simili nella letteratura clinica, e in particolare:



1. fornire altri esempi della forza autolesionistica provocata dagli attacchi epilettici maggiori. Dai tre o quattro libri che avevo letto sull’argomento – quindi praticamente nulla – sapevo essenzialmente di ferite e traumi dovuti alle cadute – sul pavimento, ma anche per le scale – causate dalle cosiddette “assenze” epilettiche, praticamente svenimenti improvvisi; con questo voglio semplicemente dire che a me, lettore comune ignorante, manca una sufficiente informazione sugli effetti traumatici che può provocare su un cranio un attacco epilettico convulsivo ciclotonico maggiore: l’autrice, con la collaborazione del Dr. Migliaccio, potrebbe fornire al lettore esempi di devastazioni traumatiche causate da attacchi epilettici di bambini analoghe a quelle ipotizzate per Samuele Lorenzi? Un paziente affetto da epilessia può fracassarsi la testa in quel modo?



2. fornire altri esempi, sempre tratti dalla letteratura clinica, della forza cinetica del “vomito a getto” che si manifesta in coincidenza di attacchi epilettici simili. Sempre dal punto di vista del lettore profano, risulta altrimenti problematico immaginare un geyser umano che, dal corpo di un bambino di tre anni, riesce a sprizzare verso l’alto dalla bocca materiale gastrico semidigerito ed ematico, anche se il vomito a getto può proiettarsi fino a 5-6 metri (quant’era alto il soffitto di casa Lorenzi? E a che altezza rispetto al piano del letto?). Questo, sia chiaro, senza assolutamente volersi improvvisare Sherlock Holmes: ma proprio perché, a detta dell’autrice stessa (per l’impostazione e la causa costitutiva medesima che fa esistere questo libro), il fronte dei “persuasi” è così pervasivo e radicato che è necessario fornire quante più prove e materiali e esempi analoghi attestati, per rafforzare la tesi alternativa del Dr.Migliaccio (a prova e dimostrazione...che non ha letto il libro o che, se l'ha letto, non ci ha capito un tubo, omette ancora di citare i miei rilievi. Grazie Scarpa per la tua attenta analisi!!! Che bravo!!! Che amico!!! Che sostenitore del libro!!!)



Una domanda che, se incontrassi di persona il Dr.Migliaccio, gli porrei, è se è possibile ipotizzare sintomi analoghi a una crisi epilettica in seguito a trauma cranico grave. Voglio dire: se un cranio viene sfasciato da un colpo così violento, è possibile che il cervello e il sistema nervoso reagiscano con convulsioni, vomito a getto, eccetera, o no? In altri termini: si sono mai verificate crisi epilettiche causate da eventi traumatici, o vale solo il contrario? (se avesse svolto bene il compito "critico" non avrebbe dovuto fare questa domanda, perchè nel rapporto, c'è e la do io..grazie ancora Scarpa!!!)



Una domanda che invece porrei agli investigatori, al giudice, al pubblico ministero, agli avvocati della difesa, soprattutto ai periti è: se, come ha rilevato il Migliaccio dalla lettura analitica dell’autopsia, è plausibile ipotizzare che l’eventuale assassino abbia sferrato soltanto un colpo o due, come mai il sangue è stato sparso fino al soffitto? Un gesto che si ripete diciassette (o 12-14) volte con accanimento coattivo può diffondere nell’ambiente circostante molte gocce di sangue, ma un colpo singolo o doppio può fare altrettanto?

Una seconda domanda che porrei agli inquirenti è la stessa che, fra le altre, pone il Dr.Migliaccio: c’era anche materiale gastrico (succhi digestivi e cibo semidigerito) oltre al sangue, sul soffitto? E' una domanda che pongo io, insieme a quella della ricerca di cellule ossee..



Una domanda che vorrei porre a tutti, (ah...scusate...ho dimenticato la Dr.ssa Pozzi! Come sono stato distratto!...) Migliaccio e inquirenti, periti, parti accusatorie e difensive, è: quanto è decisivo fissare con precisione l’orario della morte di Samuele? Dalla lettura della perizia di Viglino, delle testimonianze dei primi soccorritori e medici dell’unità di pronto intervento, e dalle conseguenti analisi critiche del Dr. Migliaccio, un lettore non medico come me ne ricava che per l’ipotesi del delitto mediante corpo contundente sembra sia importante dimostrare che Samuele Lorenzi è morto quasi subito, mentre per l’ipotesi di Migliaccio potrebbe essere sopravvissuto per quasi un’altra ora, come effettivamente sembrano dimostrare le testimonianze specialistiche dei vari medici che lo esaminarono, in camera, in elicottero, all’ospedale. Detto ancora più a chiare lettere, la perizia del professor Viglino sembra assai preoccupata di smentire con argomenti che siano scientificamente plausibili queste testimonianze o diagnosi di persistenza in vita, come se ciò fosse estremamente importante per suffragare la tesi di una morte per trauma cranico delittuoso. È così o è solo una mia impressione? Samuele poteva continuare a vivere per qualche decina di minuti in entrambi i casi (delitto o attacco epilettico traumatico) oppure no? (io dico...che dev'esserci stato tempo affinchè si mettessero in atto le ripercussioni biologiche...fino all'edema cerebrale e vomito a getto! Ma te non hai letto le mie considerazioni!)



(Mi scuso per l’ingenuità di queste domande, ma si tratta, lo ripeto, di dubbi che possono sorgere a un lettore comune ( poco attento), che ha semplicemente cercato di leggere il libro con attenzione). (ma che l'ha letto forse all'incontrario e solo per fare "fesso e contento" un amico: Grazia)


Quel che voglio dire, in conclusione, è che si può uscire dalla lettura di questo libro mantenendo (o addirittura formandosi!) una visione “criministica” della vicenda (al di qua, lo ripeto, dello schierarsi tra gli innocentisti e i colpevolisti rispetto a Annamaria Franzoni): tra l’altro, se posso farlo notare, ciò depone a favore dell’onestà intellettuale del libro stesso.

Questo è il mio semplice punto di vista, ovviamente non probante (occorre precisarlo?), ma lo sottopongo comunque all’attenzione dell’autrice, dati i suoi propositi che sono altri (peraltro onestissimamente dichiarati: fin dal titolo!), e cioè quelli di persuadere i “criministi” che non si trattò di delitto, bensì di una morte per l’improvviso manifestarsi di una malattia congenita (o di un trauma occipitale accidentale, come suppone la Dr.ssa Pozzi! Ma te la ignori!). Mi spiego: se l’intento di Maria Grazia Torri era quello di persuadere, a mio parere non ci è riuscita pienamente (OHHHHHH ...ma anche questa sarebbe una critica di sostegno ad un'amica?): eppure io sono uno dei non molti italiani che non ha subito il martellamento televisivo sul caso di Cogne e che, onestamente, non ha alcun preconcetto colpevolista nei confronti di Annamaria Franzoni. Lo sottolineo: ancor prima che imputare o scagionare un assassino, qui viene messo in discussione che si tratti di un delitto. Come ho già detto, sarebbero necessari altri elementi, una più ricca documentazione di casi analoghi a quello ipotizzato dal professor (DR...DR...dr...dottor!) Migliaccio. Per quel che può valere, in quarantatre anni di esistenza non mi era mai capitato di sentire che una persona possa morire in quel modo: un modo che tutto sommato convaliderebbe le primissime parole dette da Annamaria Franzoni quando chiamò i soccorritori: “a mio figlio è esplosa la testa”. È proprio così? Si può davvero morire per spontanea “esplosione della testa” in una maniera così clamorosa e orribilmente “scenografica” (il sangue mescolato al vomito spruzzato fino al soffitto)? (mio Dio...a quello è un termine improprio usato dai neurochirurghi...ah che attenta lettura ha fatto Scarpa!)Proprio perché non l’avevo mai sentito, pur avendo superato la metà della vita e avendo una mediamente accettabile esperienza del mondo, a maggior ragione avrei bisogno che mi venissero menzionati e sufficientemente dettagliati casi consimili. Lo dico senza polemica: anzi, è un consiglio che do all’autrice per rafforzare le sue argomentazioni.(da presunto amico...questi sugerimenti avresti potuto darglieli prima di fornire questa scheda all'editore...o no?)



Da un punto di vista editoriale, ho trovato la lettura comunque interessantissima (che COERENZA! Che onestà intellettuale!), per alcuni aspetti:



1. per la ricostruzione (grazie all’abbondanza di materiali di prima mano che offre) di un caso sconvolgente per la nostra comunità nazionale, e che continua a essere di attualità, tra l’altro essendo non ancora chiuso il processo;



2. per la critica documentata a come è stata gestita la vicenda nei media: la qual cosa non è certo nuova in assoluto, ma va tenuto conto che, come scrive nella sua ordinanza il Gip Gandini, “le indagini preliminari, per la prima volta nel nostro paese, sono state integralmente seguite in diretta dai mezzi di comunicazione di massa” (il corsivo è mio);



3. per come ricostruisce le difficoltà del professor (DR...Dr...dottor...)Migliaccio e dell’autrice stessa a diffondere attraverso i giornali ipotesi alternative a tesi ormai calcificatesi nella persuasione generale;



4. per gli elementi di dubbio avanzati dall’ipotesi del professor (a ridajje!!)Migliaccio, che fa intravedere una diversa (o più ampia) antropologia del male (rispetto a quella bollata dall’autrice come ossessione del noir a tutti i costi), un male per così dire “naturale”, che pertiene comunque alla fragilità fisiologica degli esseri umani, a prescindere dai loro impulsi distruttivi; (oppure alla tesi della Dr.ssa Pozzi, che non concorda sull'aneurisma pur riconoscendo che bisognava indagare in merito e pone la tesi di un colpo accidentale all'occipite)



5. per la scrittura vivace, avvincente e coinvolta dell’autrice (fatti salvi gli eccessi “patetizzanti” o le puntualizzazioni inutili che ho menzionato sopra).

Tiziano Scarpa, 11 ottobre 2006

ECCKEBELLAMICO avevi..Maria Grazia!

E...come succede in questi casi, l'editore, dopo il 90% di motivi per buttare via il libro...vuoi che avrebbe considerato il solo 10%?

Da buon "amico" come tutti gli amici simili che ha avuto Grazia, Scarpa ha lanciato il sasso e poi, con i commenti finali, ha nascosto la mano.


Scarpa...Scarpa.

Meglio la salute che un paio di scarpe nuove!