domenica 13 settembre 2009

ART THERAPY (click)

La novità è che Alberto Savinio usava la sua arte per curarsi dall'autismo.
13 Settembre 2009

Alberto Savinio, "Fin d'une bataille des anges" (1930)

L’arte e la scrittura possono servire a curarci? Nella seconda metà del Novecento molti filosofi, psicologi e studiosi hanno risposto decisamente di sì. L’ultimo Foucault, per esempio, quello meno ideologizzato e più attento a esplorare la dimensione privata della vita umana, vedeva nelle tecniche e nelle pratiche del "Sé" una forma di "cura" di noi stessi (epimeleia heautou, una nozione filosofica al centro dell’etica antica).

In Italia il bravo Duccio Demetrio ha contribuito in modo decisivo a spiegarci quanto possa essere importante una "pratica del sé" come l'autobiografia per dare un briciolo di stabilità alla nostra vita emotiva, per esempio in termini di "riparazione" del trauma ed elaborazione del lutto. Pensiamo alla grande letteratura ebreo-americana che si fa autobiografia individuale, familiare e di una Nazione (da Saul Bellow a Philiph Roth) - raccontando "a tutti i costi" la verità: tutto ciò che non riusciremmo mai a dire sul conto delle persone che ci circondano, sia quelle che amiamo sia la gente insopportabile - salta fuori con facilità sulla pagina, senza blocchi o infingimenti interiori. Tutto questo ci aiuta a fare i conti con la realtà.

Di “Art Therapy” parla il saggio scritto da Carlo Alessandro Landini, musicista e intellettuale italiano che ha insegnato e fatto ricerca alla Columbia University e alla Johns Hopkins di Baltimora, ed è Past Fellow dell’Italian Academy di New York. Già il titolo del libro, edito da Franco Angeli, è destinato a gettare un sasso nel mondo dell’arte (e della psicologia dell’arte): Lo sguardo assente. Arte e autismo: il caso Savinio. Avete capito bene, Landini sostiene che il pittore e letterato Alberto Savinio (pseudonimo di Andrea De Chirico), fratello minore di Giorgio De Chirico, fosse affetto da autismo. Gli errori di ottica contenuti nei suoi quadri, i tic e gli stereotipi della sua prosa, il carattere introverso, la cronica incapacità dello scrittore di dar risalto a concetti astratti, sono tutte prove della tesi alla base del saggio. Come pure i ritratti di Savinio “che non di rado – spiega Landini – hanno la parvenza dell’allucinazione…”.

L’artista sarebbe stato quindi affetto da una forma mitigata della sindrome di Asperger, che colpì anche Einstein, Glenn Gould e Bobby Fischer, tra gli altri. E la scrittura, come la pittura, furono le due "pratiche" utili ad affrontare la "malattia" per conviverci. Il "caso Savinio" serve quindi a Landini per descrivere il problema dell'autismo da un punto di vista più ampio, cognitivistico, neurologico, iconologico, e con un occhio alla psicologia dinamica e relazionale. Un lavoro di sorprendente acutezza.